Con decreto reso in data 19.09.2021 il Tribunale di Roma ha statuito in merito al ricorso per la modifica delle condizioni di divorzio nell’ambito del quale il ricorrente aveva richiesto la modifica delle modalità di affido e di mantenimento del figlio affetto da disabilità.
In particolare, il ricorrente aveva richiesto l’affido condiviso, in luogo di quello esclusivo alla madre già disposto in sede di divorzio, oltre a una netta e drastica riduzione dell’assegno di mantenimento posto a carico del padre. A sostegno delle proprie pretese il ricorrente richiamava da una parte l’art. 337 septies c.c., a mente del quale “ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori” che giustificava la richiesta di modifica delle condizioni di affido del figlio maggiorenne, mentre la domanda di riduzione dell’assegno veniva suffragata dall’intervenuta autosufficienza economica, il quale risultava svolgere un’attività lavorativa con assunzione regolare ed a tempo indeterminato.
Si costituiva in giudizio la resistente, la quale eccepiva l’inammissibilità delle domande posto che in tema di mantenimento dei figli maggiorenni con disabilità trova applicazione il dettato di cui al secondo comma dell’art. 337 septies c.c., a mente del quale “ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori” derivandone, quindi, che gli stessi abbiano comunque diritto al mantenimento da parte dei genitori anche in presenza di un’occupazione.
Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, infatti, l’assegno di mantenimento non può essere escluso per il solo fatto che il figlio, affetto da disabilità, abbia trovato un lavoro, questo perché la presenza di una determinata patologia comporta in ogni caso il dovere dei genitori di farsi carico (fosse anche in parte) delle esigenze del figlio, in quell’ottica di solidarietà che ispira gli obblighi familiari disposti dal nostro ordinamento. In altre parole, un figlio disabile che lavora o che percepisce una pensione di invalidità o un’altra prestazione sociale resta, pur sempre, una persona bisognosa di assistenza anche economica, con conseguente diritto, anche del coniuge che continua a farsi carico dell’assistenza del figlio non autosufficiente divenuto maggiorenne, a pretendere dall’ex coniuge un contributo per il mantenimento dello stesso. All’ stesso modo, sempre secondo la difesa della resistente, non può essere considerata ammissibile la domanda di modifica delle condizioni di affido, posto che la normativa di cui all’art. 337septies c.c. può trovare applicazione solo in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento (cui effettivamente la norma in esame attiene, tenuto conto del combinato disposto del primo e del secondo comma dell’art. 337 septies) e non già in tema di affidamento. Difatti, la previsione di cui all’articolo 337 septies c.c. (disposizioni in favore dei figli maggiorenni), è circoscritta alle sole disposizioni di natura economica: il secondo comma va interpretato in connessione al primo, il quale prevede che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”, del quale rappresenta la specificazione con riguardo a soggetti particolarmente deboli. E questo perché, se si ritenesse estendibile pure la disciplina dell’affidamento, si produrrebbero conseguenze non accettabili, in quanto ciò comporterebbe l’estensione della normativa attinente la minore età oltre il limite previsto in via generale ai 18 anni, con evidenti ricadute sulla libertà di determinazione del soggetto che si intende tutelare. Con il compimento dei 18 anni vengono meno, infatti, la presunzione legale di incapacità e la responsabilità genitoriale e pertanto i soggetti assumono piena capacità di agire, derivandone, che le decisioni più importanti per la loro vita verranno assunte da loro stessi. In caso contrario si dovrebbe concludere che il figlio portatore di handicap, ancorché maggiorenne, sia da considerarsi automaticamente privo della capacità di agire, mentre ciò potrà essere accertato, eventualmente, in via parziale o totale, nei giudizi specifici di interdizione, inabilitazione o di amministrazione di sostegno.
Il Tribunale, riunito in camera di consiglio, nello statuire sul caso in esame, ha accolto l’eccezione di inammissibilità della domanda d’affido in quanto al figlio, maggiorenne, ancorché disabile, non si applicano le disposizioni dettate in favore dei minorenni relative all’affidamento, condiviso o esclusivo, trattandosi di soggetti maggiorenni che per legge hanno piena capacità di agire, se non sottoposti a misura ablativa o limitativa della capacità (Cass. 12977/12). Quanto agli aspetti economici, il Tribunale ha invece accolto parzialmente l’eccezione della resistente statuendo che il reperimento da parte del figlio maggiorenne e disabile di una regolare attività lavorativa non esclude di per sé, in una visione solidaristica, il contributo per il suo mantenimento a carico dei genitori, tuttavia incide sul quantum del contributo dovuto e pertanto ha rideterminato l’assegno di mantenimento nella misura delle sostanze economiche di ciascun genitore emerse all’esito risultanze istruttorie.
Avv. Kelly Louis Iacopino